Conversazione con Gillo Dorfles

 

TempoFermo: Durante il 900 si è imposta la convinzione che la qualità di artisticità di un'opera non sia una qualità immanente, immutabile nel tempo e transculturale, ma sia invece solo una interpretazione soggettiva degli interlocutori delle opere, quindi mutevole e relativa a ogni tempo e a ogni cultura in una dimensione storica. Questo relativismo, per cui un'opera può essere arte (opera d'arte) per qualcuno, e può non esserlo per un altro, si compendia nella proposizione "è arte ciò che gli uomini (che hanno il potere di farlo) chiamano arte", e ha determinato di fatto il dissolversi di ogni giudizio nel relativo ed effimero valore di scambio nel mercato. Ci si domanda se questa concezione relativistica sia ancora sostenibile, e se non si sia invece rivelata troppo "facile", per non essersi interrogata sulla universalità del bisogno fondamentale antropologico, per soddisfare il quale l'operazione arte è stata inventata circa 40.000 anni fa. Ci si domanda come sia possibile che l'operazione arte abbia prodotto opere ritenute sempre da tutte le culture di indiscusso valore (artistico, secondo la nostra moderna definizione), per cui sono state protette attraverso i secoli, senza che si riesca ancora a ragionevolmente capire la natura di questa costante, che noi definiamo oggi qualità di artisticità

Dorfles: Io non posso che rifarmi a quello che ho scritto nel libretto "Le oscillazioni del gusto" (Einaudi 1970). Effettivamente le oscillazioni del gusto nella fruizione dell'opera d'arte sono oggi diverse da quelle che erano nell'antichità, per la ragione molto semplice che, anzitutto, la funzione dell'arte è completamente cambiata: una volta la funzione dell'arte era religiosa, mistica, iniziatica, oggi è "mondana", nel senso che è l'arte di tutti i giorni. Dunque già questo cambia completamente il panorama dell'arte. Non solo, ma non possiamo non tener conto che una volta c'erano delle società chiuse, limitate addirittura nella cerchia di mura di una città, e ognuna di queste città/stati aveva una omogeneità assoluta, per cui l'arte era capita dal popolino come dai signori. Oggi questo non è più possibile, oggi abbiamo una divulgazione immensa dell'arte a tutti i livelli sociali, ma contemporaneamente un abbassamento dell'arte e un suo livellamento terribile. Per cui l'arte elitaria, che ancora esiste, non può essere capita che da pochissime persone. Quando la moglie di Dürer vendeva le sue silografie sul mercato, erano le stesse, come immagini e come stile, delle acqueforti che lui ideava per i grandi signori e letterati.

TempoFermo: Dunque, cambiando le funzioni, la sostanza dell'arte cambia... Ma fino a che punto? Io penso che al di là di quelle funzioni, che sono culturali e sociali e storiche, e quindi relative e mutevoli, ci sia una funzione prima antropologica unica per tutte le opere. Quando l'uomo ha inventato l'operazione arte, non l'ha fatto per soddisfare anzitutto un bisogno psicologico profondo, che precede i bisogni sociali?

Dorfles: Naturalmente, l'arte viene sempre dall'intimo dell'uomo, è sempre l'emanazione della sua psiche, di questo non c'è dubbio; ma non dimentichiamo che sono cose molto diverse un cartellone pubblicitario, uno spot televisivo, di fronte alla "Flagellazione di Cristo" di Piero della Francesca. Quindi non si possono confrontare le due cose. Non possiamo negare che un cartellone pubblicitario o un fumetto e uno spot televisivo comprendono degli elementi artistici che vanno riconosciuti come tali; ma essi non si possono confrontare con quelli della "Flagellazione" di cui abbiamo parlato, perché manca ormai la religione, la fede nella trascendenza.

TempoFermo: Le cose che dici sono le cose che abbiamo tutti riconosciuto nel 900, e che io ho imparato anche da te. Ma, al di là di questo, se tu dici che in un cartellone pubblicitario ci possono essere elementi di qualità di artisticità come in un quadro di Piero della Francesca o di Bacon, c'è dunque in questi oggetti un denominatore comune, che definiamo qualità di artisticità, che non può non essere un qualcosa di antropologico che trascende le diversità culturali storiche.

Dorfles: Ma anche se è antropologico, cambia secondo le epoche. Intanto non dimentichiamo che a seconda delle epoche cambia anche il tipo di arte: ossia la musica di Bach ha una sua funzione, il jazz di oggi ha un'altra funzione, l'architettura di Bernini è una cosa, l'architettura di Gehry è un'altra cosa. Quindi non si possono fare dei paralleli.

TemoFermo: Se non si possono fare dei paralleli a un livello storico culturale, che cosa è che hanno in comune, per cui noi li definiamo con lo stesso termine di "opera d'arte"? In cosa consiste l'artisticità che hanno in comune?

Dorfles: A seconda delle epoche la troviamo in opere diverse. Per esempio, secondo me, la troviamo oggi in molta architettura, dove abbiamo esempi ottimi di "grande arte". Anche il nostro Renzo Piano, anche Gehry, Sterling... insomma abbiamo grandi architetti, le cui opere sono commoventi come quelle dell'antichità. Perché in quest'epoca l'architettura ci può dare delle emozioni genuine. Che non ci danno le installazioni che troviamo alla Biennale o a Documenta....

TempoFermo: E allora la domanda si ripropone. Se le opere degli architetti ci danno queste emozioni, e le installazioni non ce le danno, c'è una differenza fra loro, pur appartenendo alla stessa cultura contemporanea. Ma se c'è questa differenza, per cui le prime sono opere d'arte e le seconde no, non è ormai indispensabile riuscire a capire in cosa veramente consista questa qualità che le prime hanno e le seconde no, e che troviamo in opere di culture e tempi lontanisimi fra loro?

Dorfles: L'arte è l'espressione di un impulso dell'uomo a lasciare la sua traccia nel mondo. Non riduciamola a delle frasi banali. L'importante è soltanto questo: perché nell'architettura noi abbiamo oggi questa espressione della artisticità, e perché ce l'abbiamo anche nella musica di Berio, di Donatoni, di Ligeti, di Stockhausen ecc., ma non ce l'abbiamo in tanto rock che ci riempie...

TempoFermo: Perché?

Dorfles: Ma per quello he dicevo prima. Perché l'una è arte elitaria, l'altra è arte "di consumo". Oggi abbiamo tutto un settore artistico che è esclusivamente di consumo, cioè legato solo alla mercantilizzazione. Non possiamo pretendere che quest'arte mercantile abbia la stessa qualità dell'arte elitaria.

TempoFermo: Ma il problema è: come facciamo, analizzando le opere di Berio e del rock, a definire che le prime hanno qualità di artisticità e le altre no.

Dorfles: Questa è una domanda che non si pone, perché non ci sono, non ci sono mai stati dei parametri che possano definire quando un'opera è o non è riuscita.

TempoFermo: Sarebbe interessante sapere il perchè di questa contraddizione, per cui, nonostante la storia dell'arte sia praticamente un compendio di giudizi sulle opere, non ci sono parametri certi per poter definire che questo è artistico e questo no.

Dorfles: Ma perché non ci sono mai stati. Anche le cosidette regole del passato erano regole legate a un tempuscolo. Non basta conoscere le regole per dire che siamo di fronte a un'opera d'arte. Non per niente il gusto è così importante. Possiamo solo dire che quando un certo numero di persone preparate, con un gusto molto acuto, si trovano davanti a delle opere, sanno dire quando un'opera è opera d'arte o no. Io ho fatto parte di una grande quantità di giurie, per l'architettura, per il design, per la pittura, ecc., e mi sono accorto che tutte le volte che la giuria era fatta da colleghi competenti, il giudizio non vacillava. Ma nessuno avrebbe potuto dire: "perché"... Va be'... equilibrio, non equilibrio, forma nuova, novità, non novità... ma c'è sempre stata: in ogni periodo abbiamo avuto un'arte che dopo aver raggiunto l'acme, poi decade. Allora, per avere una nuova arte bisogna che ci sia un elemento di novità. E' solo la novità che può dare un nuovo impulso. Difatti tu vedi che quando dal Rinascimento passiamo al Manierismo, abbiamo un momento di stanchezza. Ma quando, dopo questa stanchezza, passiamo, non so, da Santa Maria della Pace (una bella chiesa manierista), al San Carlino del Borromini, oppure al tardo barocco di Guarini, allora abbiamo finalmente di nuovo una emozione straordinaria, perché abbiamo la novità dal nuovo stile.

TempoFermo: Sulla competenza, hai affermato che nelle giurie i competenti davano giudizi praticamente unanimi. Allora si può dire che un competente italiano contemporaneo e un competente primitivo (quello che una volta nella tribù faceva quelle opere che noi oggi consideriamo opere d'arte), cioè ogni competente di una qualsiasi cultura, dà lo stesso giudizio su una certa opera?

Dorfles: Ma si, abbastanza. Naturalmente, dipende anche dalla loro formazione. Ecco, uno degli errori è credere che l'arte sia comprensibile a chiunque. Sbagliatissimo. Per esempio, per la musica contemporanea -altra arte che io considero in buone condizioni, a differenza della pittura - molti non vanno ai concerti perché non conoscono la musica contemporanea.

TempoFermo: Non hanno imparato ad ascoltarla, a sentirla.

Dorfles: Bisogna avere una preparazione. Anche per la pittura. Uno che non ha mai visto Dubuffet, di fronte ai suoi quadri non capisce niente. La preparazione è necessaria.

TempoFermo: Allora, siccome questi competenti di culture diverse hanno una preparazione culturale diversa, e quindi un gusto diverso, certamente di fronte a una opera di un'altra cultura avranno in principi delle difficoltà. Ma si può dire che, frequentando a lungo l'opera, abbandonandosi ad essa, essi cancellano i loro pregiudizi culturali e di gusto, fino a darne finalmente un giudizio unanime?

Dorfles: Si, certo. Entro certi limiti.

TempoFermo: E' chiaro allora che questa artisticità che a un certo punto i competenti riconoscono è una qualità universale, che trascende le differenze culturali, trascende il gusto pregiudiziale di ognuno. Ma questo fatto molto importante è stato negato dalla cultura relativistica del 900. Ora invece possiamo dire che questa qualità di artisticità è immanente all'opera...

Dorfles: Ma indubbiamente. Prendi per esempio Picasso, c'è stata qui a Milano una grande mostra di Picasso. In questa mostra c'erano alcuni capolavori dei primi tempi, e anche del periodo intermedio, blu, ecc., e poi c'erano le ultime opere che appartengono ai nipoti (i quali evidentemente vogliono venderle per fare un po' di soldi) e sono opere senz'altro mediocri. E questa era l'opinione generale, non solo mia. Quindi ecco un caso in cui anche Picasso, un grande artista, di cui però dici: "fino a questo punto è un grande artista, poi queste sono delle porcherie". Non è vero che non esista un parametro, ma naturalmente non lo puoi esprimere in soldoni.

TempoFermo: Non è misurabile, quantificabile.

Dorfles: Naturalmente, nel caso della pittura, a differenza della musica e della architettura, c'è, a partire dagli anni 70/80 del 900, una caduta assoluta di interesse e di qualità. Su questo non c'è dubbio. Ma perché... Perché appunto abbiamo la fotografia che è diventata veramente un'arte importante, che ci ha dato dei capolavori che la pittura non dà più; perché abbiamo delle forme di installazioni, di collages, ecc., che ci danno delle soddisfazioni che la pittura non ci dà più. La pittura attraversa un periodo particolarmente delicato.

TempoFermo: Dunque se oggi c'è un problema, è un problema della pittura e non dell'arte in generale.

Dorfles: Abbiamo poeti importanti oggi come li avevamo tanti anni fa, grandi romanzieri oggi come li avevamo nell'800 (con le debite riserve). Per cui la crisi dell'arte, che sia tu che io constatiamo, riguarda sopratutto un tipo di arte figurativa. Perché la figurazione è stata, non soppressa, ma molto limitata dall'avvento della fotografia e delle riproduzioni meccaniche, ecc., perché il cinematografo, altra arte importantissima, ha sostituito tutta una serie di operazioni che una volta erano riservate alla pittura. Quando Benozzo Gozzoli faceva le storie del Vecchio Testamento, non faceva altro che fare una storia per fumetti, nel senso migliore della parola, perché la popolazione del 400, illetterata e analfabeta, potesse riconoscere Cristo, la croce, i re magi, ecc.. Oggi ci troviamo, per esempio, di fronte al fatto che dovendo mettere una pittura in una chiesa, non sappiamo cosa fare.

TempoFermo: Vengono meno molte funzioni sociali della pittura, d'accordo. Ma perchè, a questo, punto fare installazioni e non altro?

Dorfles: Per assenza di capacità creative, questo è il fatto. Naturalmente ci sono dei casi di installazioni interessanti e video affascinanti, ma tre quarti dei giovani di oggi si trovano a frequentare una accademia che non serve a niente, a imparare a dipingere, cosa che non basta per essere dei pittori, e a allora, non sapendo cosa fare, si rassegnano a fare delle composizioni, delle installazioni, delle mescolanze di generi balordi...

TempoFermo: Diciamo che non hanno niente da dire...

Dorfles: Non hanno niente da dire, salvo pochi casi. Nell'ultima edizione di "Ultime tendenze nell'arte d'oggi" (Feltrinelli) ho messo in copertina un'opera di Cindy Sherman, che è per conto mio una grande artista. Nell'opera ci sono due manichini di materia plastica, due volti che si avvicinano come se si volessero baciare, la cosa è tagliata in un certo modo, l'espressione di questi manichini è particolarmente affascinante, il tutto è un'opera d'arte di prim'ordine, pur non essendo pittura, pur non essendo solo fotografia, essendo qualcosa di nuovo.

TempoFermo: Dunque quest'opera va oltre la semplice allegoria in cui consistono in genere le installazioni e diventa un simbolo artistico, un'opera d'arte. Ma quello che mi domando è perché i giovani non si annoiano a fare così tante installazioni, tanto banali e senza idee, anche se esse non pretendono di essere altro che allegorie...

Dorfles: Non sanno cosa fare... Perché è una cosa facile, la più semplice, prendono dei rimasugli, una vecchia radio sfondata e la mettono sopra una automobile fracassata... L'ultima mostra della fondazione Prada, che è di un certo americano di cui non ricordo e non voglio ricordare il nome, e che sta avendo molto successo, che cosa è: è un grande ambiente dove ci sono due automobili fracassate, delle cose appese alle pareti con dei graffiti,...insomma invenzioni balorde. Non dimentichiamo che tutto questo poi in gran parte dipende dal mercato. Fino a cinquanta anni fa l'opera non era asservita al mercato, oggi lo è.

TempoFermo: Ma di queste installazioni sul mercato cosa se ne fanno? Chi le compra, dove le mette?

Dorfles: Oggi c'è la triste questione dei musei. Molti artisti già a vent'anni fanno delle opere gigantesche destinate ai musei. Magari non ci arriveranno mai, ma intanto se ci arrivano la loro fortuna è fatta. Questo non vuol dire che nei musei vadano solo le porcherie, tutt'altro. I curatori dei musei sanno discernere fra una cosa e l'altra. Però una volta non c'era il mercato che condizionava l'artista.

TempoFermo: Ho molti giovani amici, che hanno un grosso problema: quello del giudizio. Il dramma è che, pur riconoscendosi in una cultura postmoderna che considera il giudizio non pertinente, essi ne hanno bisogno, e non sanno di chi fidarsi...

Dorfles: Non sanno cosa fare, questa è la cosa tragica. La cosa che trovo tragica è che vengono da me degli artisti ai quali dico che quel che fanno è sbagliato... e loro dicono: "ma cosa devo fare?..." Ma che non facciano niente! Se uno non è sicuro di quello che vuol fare, non faccia niente!

TempoFermo: Ma al di là del non sapere cosa fare, il fatto di non avere dei referenti di cui fidarsi nel giudizio in generale, è anche questo per loro un grande problema. Mi dicono che non si fidano dei critici, che possono solo affidarsi al "mi piace/non mi piace" degli amici senza competenza, non hanno alcun parametro per giudicare le proprie opere...

Dorfles: Ma io a loro dico sempre: smettete di dipingere. Imparate un mestiere magari di grafico, di designer, di allestitore, di scenografo, ci sono tanti modi per esprimere la propria capacità. ma se non sanno cosa fare nell'ambito dell'arte pura, della pittura, che non la facciano. E' quello che dico continuamente, ogni giorno.

TempoFermo: Dunque la pittura non si riesce a fare, è troppo difficile.

Dorfles: Ma per la ragione anche che la pittura, volere o no, era un'arte mimetica. Ora la natura morta non si può più fare, i paesaggi non si possono più fare, i ritratti non si possono più fare...

TempoFermo: Io credo che tutto ciò si potrebbe fare, essendo (da sempre) solo un pretesto per inventare un mondo. Credo invece che sia questa invenzione di un mondo a essere troppo faticosa, difficile. Questa invenzione di un originale mondo di immagini richiede una grande dedizione all'arte...

Dorfles: Si, la grande funzione della pittura del 900, da Matisse a Picasso a Klee, è stata l'invenzione di nuovi universi.

TempoFermo: Appunto. Questa invenzione di nuovi universi, di nuovi mondi, che è poi il problema fondamentale dell'arte da sempre, perché mai non la potrebbero fare in pittura, e invece la potrebbero fare nel cinema, nella danza, ecc....

Dorfles: Perché sono arti più vicine al nostro tempo.

TempoFermo: Eppure Bacon è di ieri, e ha inventato un personalissimo mondo. E il cinema e la fotografia esistono da più di un secolo. Io ho il sospetto che sia proprio la capacità di inventarsi il mondo che sta venendo meno, per tutti. E che nella pittura ciò sia solo più appariscente, anche certo per i motivi che hai detto. Io mi domando: come può essere che così, di colpo, non ci siano più pittori? Non credo che sia per colpa del cinema, né della fotografia, ecc., con cui i pittori inventori di immagini come Picasso hanno convissuto benissimo, senza problemi. Io credo invece che molta pittura abbia troppo "scherzato" con le proprie facoltà narrative, fino a distruggerle. Si tratta di recuperare la narratività, di avere di nuovo qualcosa da narrare, da dire, così da poter di nuovo inventare un mondo, un universo di immagini originali, anche se ciò è difficile e faticoso. Non capisco perchè la pittura non possa essere un linguaggio attuale. Certo il problema è avere un mondo proprio da narrare, e, cosa imprescindibile, dimenticare il mercato.

Dorfles: Effettivamnente, se il bel quadro astratto appeso alla parete ha ormai finito il suo percorso, una pittura narrativa ha ancora diritto di esistere. Non è detto che domani non ci sia qualche altro genere di pittura e di scultura, che possa narrare. Per ora interessante è il video. Per esempio, c'è un americano che si chiama Oursler e fa dei video: prende una palla di stoffa, di una materia molle, sulla quale proietta la faccia di una persona. E tu vedi lì la faccia che si trasforma, che parla, che urla, che piange. E' affascinante. E' riuscito a far diventare il video un'opera drammatica. Quindi, se dovessi dire che il nostro tempo è un tempo dove non c'è arte, non lo direi mai. Abbiamo uno straodinario cinematografo, un teatro interessante, una ripresa della danza, tutta la body art che molto spesso fa schifo, ma alle volte ha dato delle buone prove,..... Accanto alla body art di Günther Brus, ci sono anche dei suoi bellissimi disegni. Accanto alle fotografie ritoccate di Arnold Reiner, ci sono anche dei quadri che sono in sintonia con queste fotografie. L'errore delle nostre accademie, dei giovani che ci vanno, è di credere che frequentando il corso di pittura diventano pittori. Non diventano un bel niente.

TempoFermo: Parliamo della Tecnica. Secondo alcuni filosofi (Heidegger, Severino, Galimberti...) la Tecnica da strumento dell'uomo sta diventando fine a se stessa, rendendo a sua volta l'uomo suo strumento, quindi incapace a dominarla. Pertanto la Tecnica farà tutto quello che riuscirà a fare, per l'uomo ma anche contro l'uomo. Ciò potrebbe comportare una mutazione tale, per cui anche il suo rapporto con la morte potrebbe cambiare, e il bisogno umano di artisticità, che dall'attuale nostro tipo di rapporto con la morte dipende, potrebbe venir meno.

Dorfles: Ma, io non credo. Basterebbe un esempio, quello dell'arte infantile. Oggi, come sempre, i bambini già a partire dai quattro anni hanno la spinta a disegnare e dipingere, e si resta esterefatti per la "bellezza" di queste cose che dipingono i bambini. "Bellezza", dico fra virgolette, perché più che altro è dovuta a questo accostamento di colori...non è ancora arte, è solo espressione della propria personalità. Ma questo significa che anche oggi l'uomo ha bisogno di estrinsecare il suo io attraverso la pittura e la plastica ecc.. Naturalmente, arrivati alla pubertà, smettono di dipingere queste cose deliziose, perché non ne sentono più il bisogno. Non è più un mezzo espressivo dei nostri giorni. La tecnica, l'invasione della televisione, dei videogiochi, dei meccanismi elettronici, dei telefonini, tutto questo enorme universo meccanico/elettronico, ha soppiantato buona parte di quello che era il desiderio creativo dei giovani.

TempoFermo: Dunque allora diciamo che questo disegno creativo che poteva sfociare per alcuni in opere d'arte, in altri magari solo nella ricezione delle opere, oggi viene meno, perchè viene interrotto da soddisfazioni tecniche, che si possono definire estetiche, non artistiche. Allora, se da un lato possiamo avere una élite sempre più ristretta che fa e apprezza l'artisticità, c'è una frattura fra questa e la grande massa. Dicevi in principio che Dürer lo apprezzavano sia il popolo che le élites. Ora, di fronte a questa frattura, come sarà il futuro dell'arte?

Dorfles: Mancano l'educazione, la consuetudine, la storia che va imparata, insomma un back ground culturale che non c'è... C'è la religione che sbaglia quasi sempre quando deve fare delle opere d'arte. Recentemente ho avuto da discutere con Renzo Piano su come completare con opere figurative il grande auditorium che sta costruendo per padre Pio. Lui si era rivolto a Rauschenberg per avere una cosa moderna in una architettura moderna. Rauschenberg, pur essendo indubbiamente un artista notevole, ha fatto un lavoro assolutamente sbagliato, perché al posto della divinità, del Cristo, ha messo un radiotrasmettitore, una macchina trasmettitrice televisiva ecc.. Una idea balorda che la commissione del Vaticano ha immediatamente bocciata. Allora Piano mi ha chiesto consiglio, e io, dopo aver molto esitato, l'ho consigliato (non sappiamo ancora se ciò sia accettato o meno) di rifarsi a una Apocalisse autentica del 200, del 300. Ingrandiamola enormemente col computer, cioè computerizziamo questa antica meravigliosa pittura in modo che sia la stessa del 200, del 300, ma ingrandita, e resa perfettamente uguale (con lo scanner puoi ottenere una pittura perfetta). In quel caso si avrebbe un'opera religiosa, affascinante e nello stesso tempo funzionale. Ammesso che questo venga accettato, si avrebbe il vantaggio di poter affermare: "oggi non puoi fare una pittura moderna in una chiesa, se invece fai una copia fedele, sia pure ingrandita, questa non disturba".

TempoFermo: Oggi nessun pittore "sente" la religiosità a tal punto da poter fare un quadro religioso. Ma tornando al problema degli adolescenti, dicevi che l'appagamento ottenuto nell'invasione dell'universo meccanico elettronico soppianta in loro il desiderio creativo. Può anche la musica rock considerarsi una intrusione della tecnica che interrompe la creatività musicale infantile del canto, del ballo ecc., distruggendo l'educazione musicale avuta nella scuola?

Dorfles: Sì, appunto. La questione del rock è molto delicata: non si può negare che la musica rock abbia una importante funzione "fisiologica", nel ritmo incalzante, il suono fortissimo, anche se dal punto di vista musicale c'è molto poco. Anche nel rock, e poi nella musica da discoteca, che i giovani ascoltano continuamente, c'è l'abolizione della "vera musica" - come era ancora l'antico jazz- a favore d'una musica orgiastica e parossistica.

TempoFermo: A questo proposito tu hai scritto un libro intitolato "L'intervallo perduto" (Einaudi 1980). Negli anni 60 del 900 i giovani hanno inventato questo modo di "essere dentro" la musica, dove è soppresso l'intervallo, la distanza fra l'opera e l'interlocutore che ascolta, e di fatto è soppresso l'ascolto. E' una operazione che appartiene più al rituale magico e psichedelico che altera la coscienza, ("sottocultura acida" delle droghe) che all'arte (che è autocoscienza): il fatto che questo rituale sia oggi così prorompente non è anch'esso un aspetto del cambiamento di approccio di una nuova umanità alle arti? L'installazione stessa no è anch'essa in parte un "essere dentro", piuttosto che un guardare?

Dorfles: Ah, ma senz'altro. Io lo sostengo da non so quanto tempo. "L'intervallo perduto" dice proprio questo, invece di assaporare la musica in silenzio e appositamente, si viene frastornati da qualcosa che non si ascolta. E' una droga.

TempoFermo: Io lo chiamo rituale, perché lo ricollego a istanze ancestrali. Quindi direi che rispetto alla fruizione dell'opera d'arte è una regressione.

Dorfles: Certo, certo.

TempoFermo: Non si cerca nelle opere l'artisticità. Se una volta erano pochi quelli che facevano e sentivano veramente le opere, gli altri ne avevano comunque un grande rispetto, per il fascino dell'arte sul loro inconscio. Ora sembra invece che l'opera d'arte ai giovani non interessi. Questa indifferenza indica un mutamento del rapporto fra psiche e arte.

Dorfles: Bisogna accettare il fatto che è un brutto momento. L'unico modo per cambiarlo è cambiare l'educazione; penso che con l'educazione potrebbe cambiare completamente. Non sono io che lo dico, ma non so quanti pedagoghi: non far vedere la televisione più di un'ora al giorno, non lasciare usare i videogiochi per delle ore, ecc., ecc.. I pericoli sono enormi. Pur accettando l'importanza dei nuovi mezzi che hanno permesso maggiore informazione, computerizzazione, registrazione, ecc., io credo che il momento sia estremamente pericoloso. E si teme che non sia irreversibile. Per conto mio, se l'educazione non viene a cambiare le cose, le cose andranno sempre peggio. Questo lo dico io che sono stato tra i primi a interessarsi al video, alla computer art, ecc..

TempoFermo: A proposito dell'uso del computer, è dimostrato ancora una volta che lo strumento condiziona moltissimo. Ho osservato che negli ultimi decenni la grafica dei periodici in generale è molto cambiata, è "sporca", sempre piena di tante cose. Ciò deriva in gran parte dal fatto che i grafici non resistono al piacere epidermico di "buttare dentro" lo spazio tutto ciò che la macchina induce a fare, e a fare facilmente. C'è quasi un horror vacui, paura dello spazio bianco, che porta a un poco rigoroso e infantile bricolage che spesso disturba la lettura dei testi (probabilmente si considera tale lettura del tutto superflua). Dunque se i grafici si lasciano sedurre, possedere dalla "facilità" del computer, anche questo è un sintomo della prevaricazione della tecnica sull'uomo, non perché ne condiziona il gusto (cosa sempre avvenuta), ma perché annulla il problema stesso di un gusto.

Dorfles: Infatti una cosa è fare le cose a mano, altro è farle direttamente al computer. Gehry, per citare l'autore oggi più noto in architettura, più avanzato, diceva a me quando sono andato alla inaugurazione del Guggenheim di Bilbao, che lui il Guggenheim l'ha fatto con le sue mani, ha preso il cartone, la stagnola, ha fatto una forma "artigianale", poi l'ha passata al computer per renderla esecutiva. Ora, questo è il segreto. Bisogna che l'uomo, a cominciare dall'asilo, sia abituato a lavorare con le sue mani, a cantare con la sua voce, a danzare con il suo corpo, cioè a non essere sottoposto alla meccanizzazione. Dopo, se vuole servirsi di questi mezzi, è ovvio che lo faccia.

TempoFermo: Quindi il mezzo non dovrebbe condizionarlo oltre il lecito. Ma questo succede?

Dorfles: Si, succede. Ci sono molti ormai che si accorgono di questa necessità. Non siamo certo i soli a trovare pericolosa la situazione. Io credo nel riscatto dell'arte, anche della pittura. Anche se purtroppo è sempre una questione di mercato. Quello che ha rovinato la pittura è la sua sudditanza al mercato.

TempoFermo: E' che la pittura e la scultura hanno un difetto genetico. C'è un originale da vendere che coincide con l'opera stessa, è l'opera. Cosa che negli altri linguaggi non succede, perché non hanno un originale. Il manoscritto non è l'originale del libro, lo spartito non è l'originale del brano musicale. Ecco che allora i grafici pubblicitari, gli illustratori, i fumettisti hanno rispetto ai pittori la fortuna di poter prescindere dalla vendita dell'originale/opera sul mercato, e possono così sottrarsi alla sua tirannia e fare buone opere.

Dorfles: E io non trovo che sia una diminutio capitis fare il grafico invece del pittore. Molto spesso incontro dei grafici pubblicitari i quali fanno tutti gli sforzi possibili per dipingere e per esporre. E' un chiodo. Una delle ultime volte che Armando Testa, che era molto mio amico, ha fatto al PAC una grande mostra, voleva mettere tutta la sua pittura. Io gli ho detto: "Ma no! perché metti questa pittura?" Tant'è, ha voluto metterla.

TempoFermo. E' curioso questo complesso di inferiorità dei grafici e dei fumettisti nei confronti della pittura, che è invece oggi un disastro. D'altra parte i pittori non sanno neanche che una eccellente grafica esiste, o volutamente la ignorano con altrettanto complesso di inferiorità. Il mondo della illustrazione e della grafica pubblicitaria è vitale, meraviglioso, con autori che dal punto di vista artistico sono infinitamente migliori dei pittori. Basta citare Milton Glaser, Edelmann, Brad Holland, Pericoli, Delessert, Ungerer, Mattotti, Arisman. E' lì che la pittura vive, sulla carta stampata, non nelle gallerie.

Dorfles: Io credo che la pittura esisterà sempre. Solo che cambia la funzione, come dicevo. La pittura del medioevo cos'era: pittura religiosa o celebrativa. O il ritratto del duca o del papa.

TempoFermo: La funzione della pittura sulla carta stampata è certamente un'altra, e qui funziona, serve: l'invenzione di immagini, di un universo di immagini è necessaria, è richiesta. Torniamo allora al concetto di funzione. Sappiamo che l'arte è sempre vissuta per le funzioni sociali, magiche, celebrative, religiose, ecc.. Ma a questo punto devo insistere sulla domanda inziale: perché mai gli oggetti che servivano ad assolvere queste funzioni dovevano essere formati in un modo così speciale, e non in un modo qualsiasi? In fondo la verità è che questi oggetti con le loro funzioni sono stati sempre per gli artisti solo un pretesto, un pretesto per mostrare agli altri un operazione con qualità di artisticità, per comunicare l'artisticità. Prendiamo un monumento. La sua funzione sociale celebrativa è evidentissima, non bastava allora farlo in un modo qualsiasi spontaneo, ma sufficiente a illustrare l'evento? Perché doveva anche essere formato in quel modo così difficile, complesso, che impone il più delle volte grandi sofferenze all'autore, che noi chiamiamo artistico?

Dorfles: Perché è il mezzo più straordinario per essere ricordati.

TempoFermo: Ecco: hai evocato il tempo! Irrompe il problema del tempo. Il monumento perpetua la memoria, certamente, ma per quello che semplicemente significa, illustra, o non piuttosto per come è fatto, per la sua forma che diciamo artistica? Ad un certo punto della sua evoluzione l'uomo ha inventato una operazione nuova, che fa oggetti di qualità artistica, a prescindere dalla loro funzione sociale, che è un puro pretesto. Perché ciò che perpetua nel tempo la memoria non è tanto il significato che comunicano, quanto la forma riuscita in cui sono fatti.

Dorfles: Ma una cosa non è mai separata dall'altra. Le due cose sono sempre unite.

TempoFermo: Ci sono, nella preistoria e nella storia, infinità di oggetti che comunicano efficientemente il loro significato, senza avere nessuna qualità estetica o artistica. Invece questi operai specializzati, come chiamo gli artisti, hanno inventato questo modo di fare "belli" gli oggetti. Per un qualche motivo l'umanità ha loro richiesto che facessero, per esempio il monumento, non in un modo qualsiasi, spontaneo, sufficientemente significativo, illustrativo, ma invece in una certa specialissima forma, che pone la funzione sociale celebrativa in secondo piano rispetto alla funzione artistica. E tutti questi oggetti, fatti con tecniche e gusti diversi da uomini di diversissime culture, hanno questo in comune: sono da tutti considerati tali da meritare di essere gelosamente conservati nei secoli, più per la loro forma che per il loro significato. Come potevano già anticamente dire: questo è il monumento "bello", quello giusto da conservare? Come e perché l'umanità sia riuscita a inventare questa operazione, è una domanda che in genere non si pone, ma io credo che oggi, per la situazione in cui l'umanità si trova, sia diventata una domanda importante.

Dorfles: Non si può rispondere a una domanda di questo genere. Quando i primitivi facevano i loro graffiti nella caverna per propiziare la caccia, disegnando l'animale che avrebbero cacciato, avevano senz'altro un elemento artistico dentro di sé. Naturalmente noi le chiamiamo opere d'arte, loro le chiamavano a modo loro. Per esempio le churinga, queste bellissime pietre australiane, in cui incievano dei segni che servivano a indicare il cammino. Per loro era una segnaletica, per noi sono opere d'arte degli aborigeni australiani.

TempoFermo: Quello che a me pare è che per loro fossero sì una segnaletica, ma anche molto, molto di più.

Dorfles: Certo, certo, perché nell'uomo c'è sempre stato questo impulso artistico, che accompagna ogni azione.

TempoFermo: Già. E non si riesce a capire perché questo impulso artistico sia ad un certo punto sbocciato, circa 40.000 anni fa, nell'homo sapiens sapiens, e in lui solo e non nei suoi cugini come, per esempio, quelli di Neanderthal, che erano di lui più evoluti, anche se poi si sono estinti. E' una domanda che ci si pone in questo momento perché alcuni si sono messi a pensare che, nella prevaricazione della Tecnica, questo impulso o bisogno potrebbe venir meno.

Dorfles: No, no, no. La necessità dell'arte c'è oggi come sempre.

(p. 85/92)